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31/07/2008

Perché il nucleare è la scelta sbagliata per l’Italia

Per considerare il nucleare un'opzione efficace di fronte alle sfide degli elevati prezzi dell'energia e della necessità di tagliare le emissioni drasticamente entro il 2050, bisognerebbe valutare il possibile tasso di diffusione del nucleare su scala mondiale, i tempi di realizzazione delle centrali, i costi correlati, i problemi logistici legati al ciclo vitale della tecnologia. Ma se altre opzioni consentissero una minore dipendenza dai combustibili fossili in tempi più rapidi e a costi inferiori la corsa all'atomo risulterebbe distorcente rispetto alla emergenza climatica.
In riferimento al costo, in un contesto statunitense, Amory Lovins ha valutato che per ogni 0,1 $ speso per acquistare 1 kWh nucleare, si potrebbero acquistare 1,2-1,7 kWh eolici, 0,9-1,7 kWh elettrici abbinati a 2,4-8,9 kWh termici da un sistema a cogenerazione industriale o infine 1-10 kWh risparmiati con interventi di efficienza energetica.

Innanzitutto va chiarito che un'accelerazione del nucleare rafforzerebbe il modello energetico "centralizzato" del passato mettendo in difficoltà l'emergente sistema decentrato più leggero e più resiliente. Potremmo dunque affermare che un forte impegno in questa direzione, sia a livello nazionale che globale, rischierebbe di distogliere risorse preziose da destinare a scelte più efficaci.
Nel mondo il nucleare soddisfa solo il 15,1% della domanda elettrica e il 5,8% dei consumi di energia primaria. In termini percentuali, la quota del nucleare è in diminuzione da diversi anni, malgrado il miglioramento delle rese delle centrali esistenti, a causa della progressiva chiusura dei vecchi impianti. In Europa il calo è particolarmente vistoso.

Considerando le tendenze dei prossimi anni, in valori assoluti, le nuove installazioni solari ed eoliche supereranno nettamente l'incremento di potenza nucleare installata. Infatti, in Europa tra il 2000 e il 2007, l'aumento della potenza delle rinnovabili ha superato del 15% l'incremento netto delle centrali termoelettriche a combustibili fossili e nucleari.
E poiché un eventuale rilancio del nucleare avrebbe qualche effetto solo fra 15-20 anni, sembrano molto più chiare, in questa fase, le prospettive offerte dalle fonti rinnovabili che saranno favorite da una loro continua riduzioni dei costi a fronte del costante incremento dei prezzi dei combustibili fossili.

L'aspetto che rende più improponibile la scelta nucleare riguarda però la mancata soluzione dello smaltimento delle scorie. A 50 anni dalla realizzazione della prima centrale non c'è un solo paese cha abbia realizzato un sito definitivo per le scorie ad alta radioattività, in grado di garantire cioè sicurezza per alcune decine di migliaia di anni. Ma la chiusura del ciclo riguarda anche la messa in sicurezza e lo smantellamento delle centrali nucleari e in questo caso i costi registrati in Francia, Germania e Gran Bretagna risultano essere molto elevati (da 500 a 6.000 € per kWp).

Un altro aspetto generalmente sottovalutato riguarda la disponibilità di materiale fissile. Se negli anni scorsi si era in presenza di una sovrabbondanza di uranio anche per l'utilizzo del materiale proveniente dal programma di disarmo nucleare, oggi questa situazione è destinata a cambiare e le difficoltà ad aprire nuove miniere stanno già facendo lievitare il prezzo spot, sestuplicato negli ultimi cinque anni.
Ma quali sono le disponibilità di materiale fissile? Ai livelli attuali, entro il 2035 sarebbero esaurite le riserve recuperabili a minor costo, mentre utilizzando anche le riserve estraibili ad un costo di 130 $/kg U la disponibilità si fermerebbe al 2070.

C'è poi un aspetto legato alle disponibilità di materiale fissile e riguarda le emissioni di gas climalteranti connesse alle lavorazioni necessarie. La produzione di elettricità, considerando tutto il ciclo di vita, implica un livello di emissioni che per quanto limitato non è irrilevante e si può stimare pari ad un quinto di quelle di un ciclo combinato. Quello che è certo è che, dovendo recuperare uranio da minerali sempre più poveri aumenterà di molto il consumo di energia e le emissioni collegate.

In Italia una scelta nucleare, in presenza di un ampio consenso politico e sociale tutto da verificare, porterebbe a collegare alla rete la prima centrale nel 2020 e qualche altro impianto entro il 2030.
Ma chi dovrebbe pagare il nucleare italiano? L'indebitamento dell'Enel ha superato a fine 2007 i 60 miliardi di euro a causa della recente acquisizione della spagnola Endesa ed è difficile pensare ad un'operazione finanziariamente così rischiosa. E' probabile dunque che si tenti qualche forma di incentivazione statale cercando di aggirare le regole europee sulla concorrenza.

Ma esistono alternative serie e credibili nei decenni successivi al 2020? E quale può essere il ruolo delle fonti rinnovabili? Eolico innovativo o geotermia profonda potrebbero riservare delle sorprese, ma la tecnologia da cui ci si possono aspettare contributi significativi sul lungo periodo è il solare, un fotovoltaico casalingo abbinato ad un mix fotovoltaico/termodinamico sviluppato nel Sud del Mediterraneo.
Nel periodo nel quale la produzione nucleare potrebbe dare il suo contributo in Italia, cioè nei decenni successivi al 2020, esistono buone possibilità di apporti da fonti rinnovabili di analoga o superiore entità.

In conclusione uno sforzo deciso verso l'efficienza energetica, le rinnovabili e un miglioramento delle tecnologie convenzionali consentirebbero di affrontare con maggiore efficacia le sfide dei cambiamenti climatici e del picco della produzione di petrolio.